Il 19 luglio di quindici anni fa, in Via D'Amelio a Palermo, il giudice Paolo Borsellino veniva massacrato con gli agenti della sua scorta, dopo la visita (di cui nessuno nessuno doveva sapere) alla madre. Si compì in questo modo l'azione che vide qualche tempo prima l'uccisione dell'altro magistrato simbolo della lotta alla mafia, Giovanni Falcone. Allora tanta commozione e la sensazione che in realtà la mafia avesse fatto un autogol, vista la reazione della gente di Sicilia, che sembrò mossa, come mai era accaduto, da sentimenti di odio e voglia di liberazione. Poi la storia ha fatto il suo corso e la politica il suo sporco lavoro. Così dopo aver cavalcato l'onda emotiva, usando i due giudici che in vita erano stati criticati anche aspramente, tutto è continuato come prima. E la gente? La gente ci ha provato, si è mossa cercando la propria libertà, ma proprio a quel punto lo Stato si è tirato indietro abbandonando il popolo. Il risultato è che tutti quelli che si sono ribellati si sono trovati soli a patire più di prima le pressioni mafiose, una sconfitta totale. Cosa fare allora? Tacere. Oggi alla cerimonia di memoria a Borsellino gli unici fiori erano quelli portati dalle autorità. La folla dei funerali si è trasformata in un piccolo gruppetto di idealisti. La verità è che lo Stato non è credibile e la gente non si può fidare. Non ci si può fidare di uno Stato fantasma se hai la responsabilità di portare avanti una famiglia. Due sere fa, su RAI3, mi è capitato di guardare la puntata di W l'Italia del bravissimo Riccardo Iacona. Parlavano di giustizia, in diretta da Locri. In quella piazza piena di gente dopo l'omicidio (politico-mafioso) Fortugno, quella sera non c'era più di qualche decina di coraggiosi. Di chi è la colpa? Sicuramente in buona parte di noi meridionali, ma una parte altrettanto grossa ce l'ha lo Stato, a cui non interessa la garanzia del diritto, soprattutto per motivi politici. E quando nessun urlo di protesta è ascoltato, rimane solo il silenzio. Il silenzio degli innocenti.
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