Il 4 Giugno di 18 anni fa si concluse la protesta degli studenti cinesi, che ebbe come palco scenico piazza Tian An Men, a Pechino. I giovani, supportati da una serie di intellettuali, accusavano il regime di corruzione interna, oltre a rivendicare il diritto al dissenso. Tutto partì il 15 aprile 1989, giorno della morte di Hu Yaobang, il vicepresidente di idee liberali e democratiche del partito comunista cinese, il quale venne prima escluso dalla scena politica nazionale. A questo punto ci fu una vera e propria escalation di manifestazioni duramente represse su ordine degli uomini più potenti del partito, Li Peng e Deng Xiaoping. Gli studenti eressero un monumento alla libertà all'interno della piazza e il governo invio in spedizione punitiva l'esercito. Fu una carneficina. Secondo la Croce Rossa i morti furono 2000-3000. Il simbolo della rivolta è sicuramente il Tank Man, il rivoltoso sconosciuto, il ragazzo che decise di sfidare i carri armati dell'esercito. Ed ora cosa è rimasto di quella rivolta? In verità poco. Hu Jintao, l'attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese, fu uno dei più decisi a usare la violenza per risolvere il "problema". La Cina, la cui potenza industriale fa paura a tutte le potenze mondiali, è un paese in cui i diritti della popolazione sono spesso negati e la sua produttività è anche garantita dai numerosi centri per i lavori forzati, a cui sono stati condannati i rivoltosi. Con la complicità delle multinazionali occidentali, che non si fanno scrupoli ad usare tale "materiale umano" per accrescere i propri profitti.
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