L'importazione delle primarie è stata una gran bella intuizione del Partito Democratico. Uno strumento che, pur mantenendo una serie di criticità che andranno via via regolate nel tempo, rappresenta un elemento che costringe tutti i partiti del centrosinistra a confrontarsi con gli elettori nella fase di selezione della classe dirigente. E questo vale soprattutto per il Partito Democratico, naturalmente chiamato a essere la forza di maggioranza della coalizione dunque a offrire agli elettori la maggioranza dei futuri amministratori locali. Ma le primarie di coalizione in primo luogo hanno lo scopo di selezionare il miglior candidato tra una serie di persone appartenenti a più partiti o movimenti, per cui non deve destare scandalo nel dibattito pubblico la vittoria di un candidato non indicato dal principale partito. Prendiamo il caso delle primarie di Genova svoltesi ieri, che hanno visto la vittoria di Marco Doria (indipendente sostenuto da Sel) con il 46% dei voti su Marta Vincenzi (sindaco uscente, 27,5%) e Roberta Pinotti (23.6%) indicate entrambe dal PD. E' pacifico che l'indicazione emersa dagli elettori rappresenti la migliore candidatura alla guida della città per le prossime elezioni comunali e si dovrà lavorare tutti insieme per sostenerla, ma a questo punto va aperta una seria discussione all'interno del Partito Democratico genovese. Il problema non è la vittoria di Doria, che ripeto, rappresenta l'essenza delle primarie. Il punto è che il PD non può presentarsi a un appuntamento così importante spaccato a metà. Un partito in questi casi è chiamato a esprimere una sintesi delle posizioni attraverso un candidato unitario. Se non lo ha fatto è evidente che all'interno del PD genovese qualcuno dovrà pagare perchè non è riuscito a esprimere una candidatura unitaria e forte, che non è soltanto interesse del partito, ma di tutta la città.
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