In questi tempi ingarbugliati gli eventi si susseguono a una velocità incredibile, che rende difficile anche la possibilità di seguirli con il necessario approfondimento. E proprio per questo spesso ognuno di noi è costretto a fermarsi a un livello di informazione talmente superficiale da non comprendere completamente (e qindi giudicare) i sobbalzi sociali a cui siamo esposti giornalmente. Un esempio lampante è la cosiddetta "rivolta dei forconi" che è esplosa in Sicilia in questi giorni. Il nome è decisamente molto evocativo, rimanda a lotte promosse dai poveri contro le ingiustizie alla Robin-hood. Poi a completamento del clima da rivolta popolare si è aggiunto il blocco dei trasporti, veramente una cosa da duri. Come si fa di istinto a non appoggiarla pienamente? Però è ascoltando le rivendicazioni dei leader di queste proteste che la visione cambia profondamente, passando da una naturale simpatia al sospetto. Già, perchè le recriminazioni che vengono mosse sono nei confronti delle multinazionali, del "sistema", degli imprenditori e soprattutto dello Stato centrale. Un misto di movimentismo no-global, meridionalismo malato in salsa leghista veramente poco credibile. Perchè queste belle manifestazioni non le fanno contro le istituzioni siciliane? Contro la regione Sicilia che in decenni di governo a statuto speciale ha bruciato miliardi di euro senza produrre richezza? Contro la zavorra del pubblico impiego che in Sicilia conta un esercito di 19.000 dipendenti? Contro gli stipendi dei dirigenti regionali, che sono più alti di quelli degli stati americani? Troppo facile protestare contro nemici oscuri e lontani. I nemici spesso sono molto vicini e hanno nome e cognome, ma purtroppo sono quei nomi sui quali molte di quelle stesse persone saranno ancora pronte a mettere una croce sulla scheda elettorale, trasfomando ancora una volta i loro forconi in forchette con le quali spartirsi le briciole dei corposi piatti assistenziali.
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